Lungo i canali...tra i canneti

di Emanuela Truffelli

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“C’è una città di questo mondo, ma così bella, ma così strana, che pare un gioco di fata morgana o una visione del cuore profondo”.

Così Diego Valeri, poeta padovano, introduce Venezia, così noi, partecipanti all’ ”Adunata motonautica per scafi d’epoca e classici” abbiamo percepito l’atmosfera della città e della sua laguna in cui ci siamo immersi per sei giorni .

Già il primo giorno abbiamo accostato isole dai nomi celebri (Torcello, Burano, Murano), abbiamo solcato, consapevoli del grande privilegio e con l’emozione che la straordinarietà dell’evento non poteva far mancare, il Canal Grande fino al bacino di Piazza San Marco. Indescrivibili il sussulto provato ad ogni onda dei nostri motoscafi che lambiva secoli di storia e i bagliori dei flash che torme di stranieri destinavano ai nostri “legni”. Legni d’autore, come ne abbiamo trovati custoditi, conservati e...coccolati nei vecchi squeri (in particolare quello che funge da museo e ospita l’Associazione “Arzanà”, impegnata nella conservazione del patrimonio navale tradizionale della laguna veneta a cui non può non andare il nostro ringraziamento), o narrati nel Lazzaretto Nuovo sull’omonima isoletta.

Ma andiamo con ordine... La visita al cuore di Venezia, portate all’attracco le nostre imbarcazioni, è proseguita facendoci cullare su “caorline” e “battelle” le tipiche barche a remi veneziane, con cui siamo stati condotti alla scoperta di calli suggestive fino all’approdo alla sede del club culturale e sportivo “Sette Mari”, dove una tipica cena ha coronato la giornata.
Treporti ci ha poi accolto con il calore dell’estate nascente, promessa di una stagione che popola queste terre immerse tra il Mar Adriatico e la fertile pianura veneta, in quella che è l’area umida più vasta del Mediterraneo.

Il nuovo giorno ci ha visti a bordo dei nostri Riva, Boesch, Criss Craft, con i nostri variegati accenti (diverse, infatti, erano le nazionalità dei presenti), avviati di nuovo, all’insegna della libertà goduta in un ambiente che mostra al visitatore scorci di naturalità che pare incontaminata e recuperi di un passato semplice e ricco allo stesso tempo, verso la laguna.

Così ci sono sfilati dinnanzi il prestigioso Lido in tutta la sua estensione e bellezza scevre dai fasti festivalieri, rivelandosi delicato al punto da poterlo avvicinare a velocità ridottissime per non infrangerne l’equilibrio, e Sant’Erasmo "... con belle vigne e giardini, da' quali si somministra alla Metropoli quantità di erbaggi e frutti perfetti...."(è la definizione fatta da Coronelli nel suo famoso "Isolario dell'atlante Veneto" edito a Venezia nel 1696), i cui prodotti abbiamo gustato imbarcati sul “Nuovo Trionfo”, l’ultimo “trabacolo” veneziano ancora navigante (doveroso il tributo ad Alfredo Zambon, presidente della Compagnia della Marineria che porta avanti l’opera di recupero del trabacolo).

Il terzo giorno partenza per la laguna di Marano attraverso la Litoranea Veneta che scorre parallela al mare, guidati da un veneziano d.o.c. (Franco Nube) che precedendoci nella navigazione, ci ha permesso di godere appieno l’esperienza. Affidati i bagagli al trasporto su terra, siamo partiti sotto un cielo per nulla promettente, ma che si rivelerà meno temibile delle previsioni, benché uno scroscio gagliardo abbia costretto i naviganti al riparo delle cerate e le numerose nidiate di cigni a quello delle sicure ali materne.

Imboccando canali dal colore di smeraldo, attraversando chiuse, lambendo paludi dove cormorani, falchi, aironi, germani pongono i loro nidi al riparo di canneti e giunchi, sfiorando barene caratterizzate dai fitti manti di cespi (i “bari”appunto, da cui prendono il nome), tutto nel consapevole rispetto di quei limiti che queste “autovie d’acqua” richiedono, siamo giunti a meta.

E’ Porto Baseleghe (nato come posto daziale veneziano, dotato di guarnigione e rimasto in piena attività tra il XIII ed il XIV secolo, quando, scaduta questa funzione, con ogni probabilità si ridusse a semplice borgata di pescatori) che con i suoi 400 ormeggi ci ha accolto. Le cime vengono fissate “lente” perché la bassa marea durante la notte abbasserà gli scafi e ci offrirà il mattino seguente un inusuale spettacolo di aridità e nello stesso tempo di vita per le numerose colonie di uccelli che zampettano sulle sabbie emerse. Guardinghi per le secche, ma entusiasti, sostenuti da un tempo che si preannunciava propizio, si è fatta rotta verso la foce del Tagliamento, poi la conca di Bevazzana, poi un piccolo tratto del Sile, infine una bella risalita del fiume Stella, per godere la vista della sua riserva naturale, per giungere alla laguna di Marano, in provincia di Udine, estesa fra la foce del Tagliamento e la bocca di Porto Buso, da cui inizia la laguna di Grado.

Qui tra l' ”ammophila arenaria” (specie vegetale diffusa in laguna) e i “fiuri de tapo”, diffusi nelle barene, abbiamo scorto i “casoni” le tipiche abitazioni dei pescatori lagunari. Uno in particolare ci ha accolto: quello di Adriano Zentilin, maranese di lungo corso, legato alle radici culturali della sua terra, orgoglioso di una giovinezza dei cui ricordi ci ha messo a parte. Con accenti canori, ospitalità italica, pesce preparato in diretta (innaffiato dai vini offerti da Franco Nube e Sandro Vittorio, presidente dell’Associazione “Mitico Arpege”) ci ha calato in tradizioni e sapori inusuali e lontani dalle nostre vite cittadine.

La nuova “galoppata” verso Porto Baseleghe ha suggellato una giornata il cui ricordo si è spento a fatica in un tramonto radioso.

Quando siamo ripartiti, il giorno seguente, risalendo la litoranea, la consapevolezza di aver vissuto una bella avventura, di aver assaporato sensazioni speciali, di aver percepito l'attrazione di quei paesaggi lagunari che paiono sterminati, fatti spesso di silenzio accompagnato dai suoni naturali del vento fra le canne, dallo sciacquio sotto la prua, dallo stridio dei gabbiani, è condivisa e appagante. Un grazie particolare alla “regista” Alessandra e... alle nostre barche: è per loro che ci siamo radunati, è per mezzo loro che siamo tornati un po’ più sereni. Salutandoci, con il calore che la condivisione di belle emozioni porta con sé, non resta che l’augurio per un prossimo raduno complice la magia, magari, di altri mari...