Intervista a Gianalberto Zanoletti - Presidente dell’ASDEC

Di Franca Urbani

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Incontro G. Zanoletti nell’attico della sua casa milanese, e grazie al caldo e confortevole arredo dove domina incontrastato il legno, mi appare subito come uno yachtman nella sua imbarcazione durante un momento di relax. Ricordiamo brevemente e allegramente le avventure occorse nella bellissima trasferta Venezia-Grado (1/4 maggio 2003) ma passiamo subito a parlare dell’associazione a cui con altri appassionati ha dato vita: l’ASDEC.

Presidente, come è nata l’ASDEC?

L’ASDEC è nata dall’esigenza di fare qualcosa per salvare le barche vecchie. Il fatto che lo facciamo con un gruppo di amici e divertendoci è solo un modo, penso intelligente di ottenere uno scopo che si può considerare anche un’operazione culturale: il conservare le tradizioni nautiche; in effetti siamo se vogliamo, anche seri.

Abbiamo inventato praticamente per primi in Europa i raduni di barche d’epoca.

Come si possono convincere le persone a salvare le barche d’epoca?

Quindici, vent’anni fa i cultori di barche d’epoca si contavano sulla punta delle dita, oggi sono svariate centinaia in Europa. Pensi che allora il proprietario di un motoscafo o di una vela d’epoca rischiava di venir sbeffeggiato come persona che non avesse i soldi per permettersi una nuova barca moderna. La visione delle cose cambia col tempo come vede!

Qual’è la molla che fa scattare il desiderio di possedere una barca d’epoca?

Secondo me, alla base, c’è la passione di possedere e mantenere oggetti d’epoca in generale. Infatti spesso chi possiede una barca d’epoca ha spesso anche una macchina d’epoca e magari ha anche una piccola o anche grande collezione di vecchi orologi. Poi vi è un altro aspetto curioso riguardo alla passione per questi vecchi oggetti con un grande sapore, sapore che è molto simile all’amore che un proprietario ha per la sua barca a vela al punto alle volte di ritenere abbia un’anima. Chi possiede un motoscafo d’epoca è molto più in sintonia con i velisti che con i proprietari di motoscafi moderni. Questo la dice lunga sulla nostra filosofia. In questa ottica abbniamo cercato, insieme noi amici dell’ASDEC, di realizzare un evento che potesse piacere al nostro socio tipo e potesse gratificarlo nella sua qualità di armatore di un motoscafo d’epoca: il raduno ASDEC appunto! Il primo fu a Bocca di Magra fine anni 80.

In cosa i vostri raduni si differenzia dagli altri?

Premetto che ci sono vari tipi di raduni. In America, per esempio, sono in genere così concepiti: c’è una banchina, ci sono un certo numero di barche ormeggiate e vicino ad ognuna il suo proprietario che aspetta soltanto un passante, un visitatore, per catturarlo e raccontargli tutta la storia del suo gioiello. Mi raccontano che negli USA è così anche per le automobili.

Un altro tipo di raduno prevede la competizione, cosa che sarebbe anche abbastanza normale tra proprietari di voloci motoscafi d’epoca. Tuttavia abbiamo pensato che questa fosse una strada pericolosa perché, quando si innesca la competizione la gente perde la testa pur di conquistare una coppa. Così siamo arrivati, in alternativa, ad inventare i primi raduni ASDEC che avevano come obiettivo una competizione sì, ma per premiare la “vera barca d’epoca”, attraverso l’analisi di un elevato numero di fattori oggettivi della qualità della barca. Non è detto per esempio che la barca più vecchia debba essere per forza la “più barca d’epoca”; abbiamo a tal fine stabilito dei parametri guida in una scheda valutativa. In questi raduni abbiamo distribuito coppe, premi, riconoscimenti e così abbiamo tracciato la strada che riteniamo possa essere più adatta per il nostro scopo statutario, ossia quello di salvare le barche d’epoca e la loro storia. Abbiamo fatto in modo cioè che l’interesse degli armatori che volevano conquistare una coppa, fosse identico a quello che era ed è tuttora il nostro fine: il salvataggio delle barche tradizionali e la loro storia.

Ora che è stata impostata la filosofia, a nostro avviso la più rispettosa del passato, non è più necessario fare delle competizioni all’interno dei raduni. Continuiamo sì a farli, ma sempre più movimentati e divertenti e il più possibile in navigazione.

Continuiamo però comunque nel contempo ad incrementare il nostro Registro Storico Nautico classificando sempre più barche d’epoca secondo la nostra certificazione ASDEC.

Siete riusciti dove altre associazioni sono ancora in alto mare. Come avete fatto a raggiungere un accordo sui criteri di valutazione e quanto ci avete messo?

Ci abbiamo messo quasi un anno, vedendoci ovviamente saltuariamente. Ma è abbastanza facile fare un regolamento quando è chiaro l’obbiettivo che si voleva ottenere. E per noi lo era.

Come vi siete regolati per la valutazione delle barche?

Noi premiamo la passione vera dell’armatore per la barca, valutiamo quantità e qualità del materiale informativo presentato sulla storia della barca: alcuni armatori fanno bellissime relazioni cui dedicano tempo ed energia, alcuni erano talmente belle e critte col cuore che hanno anche meritato la pubblicazione. Si giudica il passato della barca, la sua importanza e se è appartenuta a qualche personaggio famoso. Si valutano anche naturalmente l’originalità di tutti gli aspetti tecnici e costruttivi e lo stato di conservazione.

Giudicate storiche le barche da lavoro? Per esempio un vecchio mezzo in legno a fasciame incrociato dei vigili del fuoco?

Certamente, anzi sono proprio i mezzi da lavoro che non hanno il fascino del lusso, che meritano più attenzione perché sono più in pericolo. Le faccio un esempio: se a Milano un taxista ha il suo vecchio taxi ormai inefficente, lo butta, ma domani avrebbe potuto essere un pezzo storico. Questa è una delle ragioni per cui per esmpio a Venezia non ci sono più gondole antiche: venivano infatti buttate quando non più efficenti.

Pensa anche lei, da esperto qual’è, che la gondola derivi dalle barche a fondo piatto dell’oriente, come sostengono alcuni?

Veramente no, secondo me le barche nascono e si sviluppano in un dato posto fino a quando raggiungono la forma ottimale. In quel momento non si evolvono più, nel senso che vengono costruite sempre così. E’ in quel momento esatto che nasce la barca tradizionale. Se il posto è simile e il lavoro è simile, allora anche la barca sarà simile. Sul lago di Como per esempio, c’è una barca tipica dei pescatori lariani adattissima a posare le reti, che, appunto perché adattissima viene oggi prodotta anche in plastica. Ebbene a Oslo, dove c’è una baia che assomiglia ad un lago e dove anche lì si pesca, ho trovato delle barche che assomigliano moltissimo a quelle dei pescatori di lago di cui sopra. Nonostante siano barche nate in luoghi lontani tra loro hanno delle caratteristiche che li accomunano. Nella laguna veneta, dove nella preistoria qualche pescatore ebbe l’ardire di cavalcare un tronco per migliorare le qualità della sua pesca creando così la prima imbarcazione e probabilmente immediatamente dopo la prima zattera, le barche si sono via affinate, ma soprattutto diversificate, dando luogo a varie tipologie di barche sia da pesca che per il trasporto di cose e persone: ecco allora la batela, il sandalo, il sandalo pupparin, la gondola, la mascareta, il topo, la topa, la sanpierota. Solo per nominarle pochissime. Mi ha sempre colpito il fatto che i millenni abbiano creato in una zona di fatto così poco estesa come la laguna, delle barche così diversificate e con tipologie così numerose.

E la diversificazione è data soltanto dall’uso che di queste barche veniva fatto, essendo ovviamente le condizioni ambientali identiche per tutte.

Quali altri incentivi avete dato alle persone per invogliarle a salvare le barche d’epoca?

Abbiamo deciso di stabilire a 25 anni di anzianità il limite per potersi fregiare del titolo di barca d’epoca. Ciò nasce sempre dal desiderio di salvare quante più barche d’epoca possibile. Attorno ai 20 anni abbiamo il punto più basso di valutazione di una barca e pertanto è il punto in cui è maggiore la possibilità che queste barche vengano gettate, come appunto il vecchio taxi di Milano o la vecchia gondola veneziana. Stabilendo in 25 anni il confine, speriamo con questo di riuscire a convincere i proprietari a tenere duro per altri 5 anni, fino a quando potrà finalmente essere considerata barca d’epoca.
E qui ritorno ad un argomento già trattato che è quello di creare le codizioni affinché i proprietari di barche vecchie non le distruggano, ma continuino a salvarle e mantenerle. E questo nonostante il fatto che queste barche sono scomode, piene di disagi, talvolta fanno acqua, i motori hanno pressoché una infinita fantasia per trovare scuse per fermarsi o per non partire. Ma forse è proprio da questo disagio e da queste difficoltà che deriva quel gusto di salvarle e di conservarle che ci contraddistingue. Sono perfettamente d’accordo che è più logico usare una moserna ed efficiente barca in plastica per l’uso di “tutti i giorni”. E che fa parte della soddifazione di possedere un oggetto d’epoca il prendersi carico di tutti i problemi relativi e di risolverli.

E’ più difficile guidare una macchina o una barca d’epoca? E quale delle due si svaluta prima?

Le macchine di prima della guerra (anni 20/30) sono in genere più difficili da portare che quelle post belliche, ma dopo questo periodo penso sia più facile, sapendo ovviamente guidare, condurre una macchina che una barca d’epoca. Il problema con quest’ultima è soprattutto in retromarcia che fa quello che vuole. Per quanto riguarda il valore per una macchina d’epoca come per una barca d’epoca, non si può parlare di svalutazione in quanto sono oggetti che hanno già subito il massimo della loro svalutazione. Se mai si può parlare di criteri di rivalutazione; come in generale le cose antiche, come ad esempio i mobili, quadri ecc. Più il tempo passa e più questi oggetti antichi si rivalutano. Ciò anche in considerazione del fatto che il prezzo di un oggetto e di conseguenza il suo valore è sempre determinato dall’offerta e dalla domanda. Essendo questi oggetti antichi costruiti e non più ripetuti, tranne i falsi (ma i falsi sono falsi), più il tempo passa e più questi oggetti diminuiscono di numero, per incidenti o disattenzione o quant’altro. Quando l’offerta viene superata dalla domanda i prezzi cominciano a salire. Le automobili d’epoca e le barche d’epoca non fanno eccezione a questa regola.

Pertanto bisogna anche dire che la passione per gli oggetti d’epoca prevede delle difficoltà, soprattutto per le barche, che non tutti hanno voglia di superare e questo seleziona naturalmente il numero degli appassionati di questi stupendi ma impegnativi giocattoli.

Potremmo dire che gli oggetti d’epoca e le barche d’epoca assomigliano a città antiche come Venezia? Una città antica, piena di problemi ma che si ama sempre di più, man mano che la si conosce?
Perfetto, ha centrato il problema! Ormai, come le dicevo, i nostri raduni hanno assunto la caratteristica di interessanti navigazioni in amicizia in cui usiamo le nostre barche e insieme risolviamo i vari problemi logistici e tecnici che immancabilmente insorgono, con grande costernazione della nostra Alessandra, insostituibile organizzatrice dei raduni ASDEC.

Quali sono le dimensioni dell’ASDEC?

Il nostro fine non è la quantità, ma la qualità. Abbiamo 150 soci, ma tutti simpatici, allegri, appassionati. Oltre ad un registro con 140 barche.

Come promuovete l’associazione?

Pubblichiamo regolarmente articoli su riviste del settore. Recentemente siamo diventati anche soci dell’ASI (Automotoclub Storico Italiano) e collaboriamo col loro giornale “La Manovella”. Inoltre ci sono tra i nostri soci alcuni che si possono paragonare a “cani da fiuto” per le barche, se mi passa l’espressione. L’investimento che si fa scovando e possedendo una barca d’epoca è affettivo. Se vendessimo qualcosa, venderemmo sogni. Paradossalmente direi che la nostra è un’associazione molto vicina ai maestri d’ascia. Lo scovare, possedere, restaurare e conservare una barca d’epoca costituisce il 90% del nostro impegno. per l’altro 10% la barca si usa anche e si naviga in mare o al lago. Quello che noi cerchiamo è l’anima della barca, la sua essenza.

Quali sono i passi attraverso cui si diventa collezionisti di barche d’epoca, come ha fatto lei, che ha un famoso muso con circa 400 barche?

Innanzitutto un distinguo mi sembra d’obbligo: io mi sono occupato molto da vicini del Museo della Barca Lariana che ha salvato in questi ultimi anni più di 300 barche. Sono tutte barche che sono state donate da persone che con quello sono diventate automaticamente Soci Donatori. Lo scopo del museo è di conservare queste barche che altrimenti sarebbero state distrutte, esponendo le più significative per diffondere il concetto dell’amore verso le tradizioni in particolare quelle nautiche. Parallelamente, ma assolutamente separata da questa prima entità ci sono le barche che posseggo personalmente quasi sempre acquistate da altri. Alcune restaurate ed usabili, altre restaurate e non usabili, molte ancora da restaurare.

Più di collezione quest’ultima si può parlare di garage, nel senso che sono tutte barche che quando ho acquisito sognavo di poterci in un domani navigare, indipendentemente dalla loro importanza. La collezione è un’altra cosa. La collezione è il desiderio di possedere dei pezzi straordinari e/o più numerosi possibile. La mia invece non è una collezione, ma un insieme di sogni scaturiti da una grande passione che viene dal passato. Il concretizzarsi di questa passione credo che sia un processo comune a molti altri appassionati, indipendentemente dall’oggetto della loro passione. All’inizio si comincia ad andare in barca, poi qualche volta si passa alla competizione. Intanto si cresce in conoscenza ricevendo e facendo proprie e soprattutto ricordando, tutte le informazioni che riguardano le barche. Io per esempio leggo tutto, non solo ciò che riguarda le vecchie barche. Ad esempio mi appassionano molto le ultime novità delle nuove tecnologie. Così a poco a poco scopri che la tua passione ti ha fatto diventare se non un esperto, una persona con un certo qual numero di conoscenze specifiche. Secondo me un ottimo modo per imparare in qualsiasi campo é proprio usare la spinta della passione.

I giovani?

Chi oggi ha 50 anni e a venti non aveva i mezzi o la cultura per possedere una barca d’epoca oggi se la può permettere e si prende la rivincita. I giovani, a parte alcune eccezioni, seguono altre cose, inoltre spesso nelle barche amano la comodità.

Quale il futuro dell’ASDEC?

Salvare più barche, dare più divertimento e più disponibilità sia ai nostri soci che ai partecipanti ai raduni; imparare dagli errori del passato per tracciare un percorso futuro che, possibilmente, non li preveda.