Le finte occasioni

di Gianalberto Zanoletti

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Meglio uno scafo “vecchio” o un natante rottame?

E’ facile cadere nella trappola delle “finte occasioni” scegliendo una barca “navigante” A restauro finito ci accorgiamo che è costata come rifarne una che si direbbe da buttare.

Argomento di questo mese sono le “finte occasioni”, argomento che mi sta molto a cuore per alcune esperienze passate. Delle quali una recente, particolarmente dolorosa.

Si sta parlando del restauro di una barca d’epoca. Premessa: il restauro deve essere eseguito scrupolosamente per far apprezzare le doti della barca stessa all’appassionato proprietario e non soltanto per poi rivenderla a fini speculativi, operazione per la quale basta una semplice rinfrescata, una “lavata di faccia”.

Per esemplificare questo concetto di “finta occasione”, bisogna prendere a esempio due tipi di barche usate: una completa, funzionante, da restaurare se si vuole una barca perfetta, ma che si potrebbe anche usare com’è se ci si accontenta di una imbarcazione seppure un po’ giù di tono. E un’altra, sempre completa, mal tenuta con aspetto da rottame, una barca non disastrata ma con motore, tappezzerie e cromature completamente da rifare e poi tutta da riverniciare.

Per quest’ultima barca si presuppone ovviamente un cifra di restauro impegnativa. Di conseguenza, per il suo cattivo stato e soprattutto per l’aspetto mal concio ha, in partenza, un valore molto basso. Il primo tipo invece rappresenta una barca che si propone molto meglio: non solo, ma è anche navigante. Sul mercato ha un prezzo molto più alto rispetto a quello della seconda (anche di 4/5 volte), prezzo che sembra conveniente perché comunque è molto inferiore al valore di una barca nuova.

Bisogna però esaminare la cosa molto da vicino e con molta attenzione.

Il fatto che sia “giù di tono” vuol dire che ha navigato molto o, comunque, è rimasta molto tempo in acqua e nonostante ciò sia ancora navigante. Molto probabilmente denuncia delle magagne sul fondo o ha il fondo da rifare, almeno in gran parte. Con la quasi certezza che quando si toglie il fondo si scopre che ci sono delle ordinate anch’esse da cambiare e magari (oppure) pezzi di chiglia o di longheroni non sanissimi. Forse tengono ancora ma poi, nel dubbio, si decide di cambiarli. Come le tappezzerie, presenti nella loro interezza, ma bruttine. Se oggi sono accettabili oggi con la barca non perfetta, striderebbero dopo con le vernici brillanti dello scafo restaurato; così cogliamo l’occasione della riverniciatura dei legni e sostituiamo anche quelle.

Ma se la tappezzeria è scolorita vuol dire che lo scafo è stato parecchio all’aperto, esposto ai raggi del sole, ma anche alla pioggia. Due elementi deleteri per gli esterni e per la struttura dei sedili. Ragion per cui anche questa parte va restaurata.

Poi le cromature, apparentemente abbastanza belle. Ma se le esaminiamo bene ci rendiamo conto che mancano tratti di cromo e qualche profilo ha preso uno o più colpetti. Ciò vuol dire che, oltre a ricromare, bisogna pure raddrizzare. E così si rifanno raddrizzature e anche tutte le cromature.

Per la vernice stessa storia: potrebbe essere solo rinfrescata, ma con risultato mediocre. Ma noi vogliamo sistemarla proprio bene la nostra amata barca e non ci accontentiamo di qualche mano di vernice. Allora, per renderla perfetta come noi desideriamo, tocca riportarla a legno.

Ed ecco che i costi finali del restauro delle due barche - quella con l’aspetto del rottame e quella navigante - praticamente si equivalgono. Ovviamente se si desidera che il risultato finale sia buono e ci soddisfi.

Con una differenza: la barca “simil-rottame” è stata pagata una cifra di molto inferiore a quella della barca quasi in ordine. La quale, sotto quest’ottica, è veramente da considerarsi una “falsa occasione”.