Di Antonio Soccol
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Questa è la storia di un grande atto d’amore. Arrossendo un po’, l’uomo che l’ha vissuta, la definisce semplicemente “una scommessa”, come se in amore tutto non fosse sempre una tremenda e quasi improba sfida.
La storia inizia nel giugno del 2008 quando, all’Arsenale di Venezia, dove vengono custodite tutte le barche storiche che compongono il fastoso corteo che, nel Canal Grande, apre la Regata Storica, affonda la “Serenissima”. Questo scafo, costruito oltre mezzo secolo fa, è il più prestigioso in assoluto fra quelli oggi esistenti: è quello che fa le funzioni del “Bucintoro”, l’impossibile (costruirla oggi costerebbe qualche miliardo di euro) barca a remi usata nei secoli XIII-XVIII per celebrare, nel giorno dell’Ascensione, le nozze di Venezia con il mare. In realtà di “Bucintoro” la storia di Venezia ne ha avuti tre: il primo costruito nel 1311, per ordine del doge Ranieri Zen, che trasportava 200 persone, il secondo fastosissimo e ricco di ornamenti in oro, varato nel giorno della Sensa (Ascensione) del 1526 e il terzo del 1728. Quest’ultimo venne distrutto, nel 1798 alla caduta della Repubblica, dalle truppe francesi che, davanti alla chiesa di San Giorgio, ne bruciarono tutti gli ornamenti per recuperarne l’oro.
Come gli storici sanno, il corteo che apre la Regata storica è un “ricordo” di quello straordinario che accolse, il 1° giugno1489, Caterina Corner, regina di Cipro, la quale aveva ceduto la sua isola alla Repubblica di Venezia. La tradizione delle competizioni agonistiche con barche a remi risale, invece, a quasi due secoli prima: al 1304 e nasce come sfida fra gli scafi che portavano gli arcieri al Lido per gare di tiro con l’arco.
Nel 1956, a Venezia si decise di realizzare una imbarcazione che “ricordasse” il leggendario “Bucintoro”. Se fate mente a locale alle origini di questo nome (una versione etimologica lo vuole due volte la nave “Centaurus”, quella ricordata da Virgilio nell’Eneide mentre un’altra si rifà a “Buzo (nave) de oro”) capite che l’Italia del dopoguerra non poteva permettersi tanto sfarzo. Una barca da svariate decine di miliardi di vecchie lire no, ma qualcosa di bello e imponente sì, era proprio il caso di farla in quegli anni della ricostruzione.
A sovraintendere i lavori venne chiamato Giovanni Giupponi, detto “Nino Squerariol”, mastro d’ascia e “re” degli squeri (cantieri) veneziani. Lo scafo lungo 20 metri e largo 3,60, aveva una altezza di 4 metri e prese il nome di “Serenissima” in onore di quello che il “Dominio o Signoria di Venezia” si era data, sin dal 9 maggio del 1462. Spinta dalla voga di 18 remi, la “Serenissima” aveva aperto il corteo della “Storica” per oltre mezzo secolo ma, agli inizi dell’estate, era andata a fondo.
“Bisogna farne subito una di nuova”, dissero in molti. Forse in troppi. Un noto politico ha detto che “a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina” e fare nuova una “Serenissima” significa mettere in gioco una cifra attorno al milione di euro... Un piatto ghiotto.
Però un grido di dolore è subito partito da Giovanni Giusto, presidente del Coordinamento delle associazioni di voga alla veneta, cui sembrava un sacrilegio “buttare” una barca di tanto prestigio e valore: “Forse si può salvare”, argomentò il bravo ed entusiasta coordinatore. Si convocarono allora alcuni esperti per esaminare il “relitto” che nel frattempo era stato tirato a secco in una delle “tese” dell’Arsenale di Venezia. Tutti espressero parere negativo. Tutti tranne due. Agostino Amadi, titolare dell’omonimo cantiere di Burano, e Paolo Vanto del cantiere navale DV Yacht di Udine. E qui, siamo nel frattempo arrivati al 25 di agosto, inizia la nostra “storia d’amore”.
In quella data, infatti, nei suoi appunti, Agostino Amadi scrive: “ Ho visto oggi l’imbarcazione sullo scalo di una delle “tese” dell’Arsenale di Venezia e ho constatato quanto segue: la barca a terra è stata appoggiata per molto tempo solo sull’invasatura e, ad occhio nudo, si nota che ha una controcurva in senso longitudinale di circa 15/18 centimetri. Questo è certamente dovuto al fatto che, durante i lunghi periodi in cui la barca veniva rimessa a terra, appoggiava solo sull’invasatura senza distribuire il peso dello scafo su più appoggi e punteggi per evitare che il peso gravasse solo sull’invasatura.
Ho controllato il fasciame, le ordinate, le coperte eccetera e ho valutato che la barca è stata molto trascurata nella manutenzione. Il “difetto” più grande è quello della chiodatura che ormai è inesistente perché corrosa dalla salsedine; le ordinate in alcuni punti sono marce e il calafataggio è tutto da rifare. Al contrario dell’opinione di quasi tutti i tecnici del Comune di Venezia e dei Maestri d’Ascia presenti, ho dichiarato che la “Serenissima” è recuperabile e riparabile”.
“Quanto ci costa e in quanti mesi si può fare?” gli hanno chiesto. Ed è stato in quel momento che Agostino, ormai innamorato perso, ha lanciato quella che lui definisce “la mia scommessa” e che in realtà è stata una vera e propria dichiarazione d’amore: “Lo faccio gratutitamente e recupero la “Serenissima” in tempo per la prossima Regata storica.”, ha detto in un silenzio irreale. E poi ha aggiunto: “Ad un solo patto: che la barca me la portiate su un pontone davanti al mio cantiere a Burano dove ho le mie maestranze e le mie attrezzature. Dove, insomma, posso lavorare come dico io”.
Uno, dubbioso, ha osato: “ Amadi, la “storica” di quale anno?”
“La prossima, quella in calendario il 7 di settembre: fra 13 giorni” ha risposto Agostino Amadi. E quella stessa sera ha, infatti, laconicamente scritto nei suoi appunti: “Mi sono assunto la responsabilità di mettere la”Serenissima” efficiente per la Regata Storica.” E poi ha aggiunto: “Il mio cantiere non ha una grandezza tale da poter ricevere, né dentro il capannone né sullo scalo esterno, un’imbarcazione di queste dimensioni. Per questo ho proposto ai presenti: se la “Serenissima” viene caricata su un pontone e portata davanti al mio cantiere a Burano, mi impegno gratuitamente, a salvare dalla distruzione il simbolo di Venezia, la “Serenissima” che dopo il “Bucintoro” rimane la barca più importante e caratteristica della città. Ho dichiarato, inoltre, che dopo tali lavori, la “Serenissima” potrà durare ancora molti anni.”
“Quanti anni, Agostino?” gli avevano chiesto.
“Almeno venti”, aveva risposto quel dolcissimo “pazzo d’amore”. E da quel momento era iniziata da un lato la lotta contro il tempo e dall’altra la grande storia fra Agostino e la “Serenissima”.
Era ancora agosto, parte delle maestranze del cantiere era ancora in ferie e molti fornitori tecnici pure. Mentre un pontone, messo gratuitamente (l’esempio aveva fatto scuola) a disposizione dalla ditta Gregolin e trainato da due rimorchiatori, trasportava lo scafo dall’Arsenale all’isola di Burano, Agostino s’è attaccato al telefono: “Per i prossimi dieci giorni lavorativi dimenticatevi che esisto: a te, la nuova barca promessa non te la posso consegnare: ti impresto la mia; a te, quei lavori di manutenzione che mi hai chiesto non li posso eseguire: se ne parla dopo il 7 settembre; a te....eccetera”. Poi ha dato un ordine preciso a chi, in cantiere, risponde al telefono: “D’ora in avanti non ci sono più per nessuno.” Aveva meno di dieci giorni lavorativi davanti per mantenere la sua promessa, per vincere la sua “scommessa”, per compiere il suo non del tutto platonico amplesso.
Nino Giupponi quella barca, oltre mezzo secolo fa, l’aveva fatta bene, con i legni giusti e con le tecniche migliori ma la cattiva manutenzione aveva fatto danni gravi, gravissimi. Di lavoro da fare ce n’era uno sproposito: “Non si dica che la barca è vecchia- ha dichiarato Amadi, il 28 agosto, a Tullio Cardona, cronista de “Il Gazzettino” – bastava saperla custodire bene. Il legno è ancora buono e il fondo non si è rotto o usurato”. E non ha aggiunto quanto avrebbe potuto aggiungere e cioè che sembrava quasi che a qualcuno interessasse che quello scafo finisse demolito per farne uno di nuovo.
La voce dell’iniziativa folle di Amadi ha fatto presto a passare di bocca in bocca in una città piccola come Venezia e così si sono presentati alcuni volontari: “Non possiamo venire tutto il giorno perché lavoriamo ma se serve una mano...”. Agostino li ha arruolati al volo. Però c’era anche chi “vogava contro”: “Non ce la farà mai”, oppure: “Magari, farà un lavoro alla bell’e meglio, tanto per farla star a galla per qualche ora”. Gente che non conosceva la professionalità di Amadi, la sua caparbietà e il suo grande amore per le barche, per quella barca: “Tutti hanno lavorato dieci ore al giorno, con una pausa giusto per un panino. Iniziavano alle otto del mattino e mollavano con il buio. Io no: alle sei, prima dell’alba, ero già attorno alla barca, a studiare ogni intervento, a valutare i lavori, i danni, le soluzioni. Fortuna che il magazzino del mio cantiere è fornito e non manca né di legno qualificato né di viti, chiodi, attrezzi”, mi ha raccontato ieri quando sono andato a trovarlo in occasione dell’ultima regata remiera della stagione, quella di Burano che appunto chiude la stagione agonistica del remo. Può sembrar ridicolo sentir parlare di viti e di chiodi come se fossero cose rare. Lo diventa molto meno quando si valuta che per ri-fissare il fasciame alle ordinate sono state usate ben 1800 viti in acciaio inox....
“Ho avuto problemi con le viti Torx in inox da 400 mm. Mi servivano per bloccare chiglia e controchiglia tra di loro ma non ne avevo mai usate in vita mia di quelle dimensioni... Dopo affannose ricerche le ho trovate presso una ditta che le produce per le imprese edili dove vengono usate per la costruzione dei tetti. Per fortuna sono arrivate in tempo: erano indispensabili. Ma che fatica piantarle in quelle chiglie di buon rovere”, ricorda ora Agostino.
Ogni giorno “Serenissima” guariva un po’ dei suoi malanni. Ogni mattina Agostino se la guardava con uno scrupolo e una attenzione feroce. Assoluta. Ogni sera faceva fatica a staccarsi da quello scafo. “Veniva a dormire che era notte fonda e la mattina era già fuori dal letto prima che sorgesse il sole: per dieci giorni non l’ho quasi mai visto. E sì che abitiamo proprio sopra al cantiere...”, commenta Tiziana, sua moglie, sorridendo serena come può esserlo chi conosce da sempre la caparbietà del suo uomo.
Il prossimo anno, Amadi festeggerà i primi dieci lustri della sua attività cantieristica e in questo mezzo secolo ne ha fatte di tutti i colori. Di recente ha persino costruito, con l’aiuto di un paio di carpentieri, una barca a remi, in legno, in appena 48 (quarantotto) ore: la sfida è stata documentata momento per momento da una troupe televisiva di Rete 4 che ne ha ricavato un ottimo servizio.
Fra le moltissime barche che ha costruito c’è anche lo “s-cioppon” che Nani Sartorio, negli anni Sessanta, ha regalato a quella che poi sarebbe diventata sua moglie, cioè mia sorella Silvana e con il quale noi due fratelli Soccol abbiamo fatto le prime 25 edizioni della “Vogalonga”: una barca “storica” unica, quanto meno in famiglia! Ma Agostino è anche noto per essere un “eretico”: è stato il primo, infatti, a realizzare in vetroresina una barca da trasporto tradizionale veneziana come il “topo”. E anche in quel caso le malelingue s’erano date da fare non poco e... per niente perché oggi la grande maggioranza dei “topi” a Venezia è in vtr, made in Agostino Amadi, Burano: “Bisogna rispettare le tradizioni ma, nello stesso tempo, non esser ciechi e ignorare quanto ci danno le nuove tecnologie”, garantisce e non si può non credergli. Basta guardar la straordinaria eleganza e l’efficienza che ha nel vogare a poppa di uno scafo da 12 remi durante la “Vogalonga” per capire quanto ami la tradizione ma si deve anche prestar attenzione ai suoi nuovi interessi quando dice di voler presto sperimentare motorizzazioni ibride (elettriche e diesel) per le imbarcazioni da trasporto. Com’è finita la sua “relazione” con la “Serenissima”? Un massacrante trionfo. Ecco in sintesi il lavoro fatto:
Eliminazione a fuoco di tutte le incrostazioni della vecchia pittura dell’opera viva.
Smerigliatura e levigatura a legno nudo di tutto il fasciame dell’opera viva.
Sostituzione per tutta la sua lunghezza delle tavole de! fasciame a ridosso della chiglia denominata “torello”, più vari rappezzi di fasciame dell’opera viva sia del fianco destro che del fianco sinistro.
Controllo della chiglia, eliminazione di tutte le parti intaccate dalle teredini, ravvivato il legno, applicato chiodi zincati per fissaggio dello stucco poliestere per riempimento delle parti danneggiate per il risanamento della chiglia e per impedire che le teredini continuino a mangiare il legno. Fissaggio di tutti i madieri del fasciame dell’opera viva con viti inox Torx 6x60 (messe in opera ben 1800 viti solo sui fasciami).
Rifatto a nuovo il calafataggio di tutti i chimenti del fasciame dell’opera viva con cordone di cotone e stoppe di canapa catramata.
Una mano di antivegetativa ad uso impregnate sul legno nudo del fasciame senza stuccare per permettere che penetri in profondità nelle fibre del legno, nei cimenti, nelle teste dei vecchi chiodi e delle nuove viti.
Stuccatura a due “passate”con stucco di antivegetativa a tutta la carena.
Due mani di antivegetativa alla carena.
Applicazione di due contrafforti di legno mogano massello sulle fiancate interne dello scafo (lunghezza m. 15, larghezza cm. 25, spessore cm. 3) uno per ciascun fianco, fissati a ridosso di quelli preesistenti con viti Torx inox (questo per migliorare il “legamento” dello scafo in senso longitudinale).
Fissate tutte le giunture delle ordinate con viti Torx inox (questo per “legamento” dello scafo in senso trasversale) perché i chiodi preesistenti quasi non esistevano più per la corrosione della salsedine.
Chiglia e controchiglia: Essendo tutti i perni preesistenti di fissaggio tra chiglia e controchiglia corrosi dalla salsedine e risultando perciò tutto “allentato”, sono state applicate delle viti Torx da mm. 400x10 una per ogni ordinata (anziché una sì e una no come i perni preesistenti) dalla controchiglia interna verso quella esterna in modo da “legare” chiglia e controchiglia e creare un ottima resistenza in senso longitudinale sotto il fondo per tutta la lunghezza dello scafo.
E’stato ripreso il fissaggio, sempre con viti Torx inox- anche dei contrafforti interni preesistenti.
E’ stato applicato un tirante di acciaio sopra coperta e messa in tensione dall’asta di poppa fino a prua, ciò per evitare ulteriori cedimenti della linea di coperta già avuti per cattivi sistemi di appoggio dello scafo nei lunghi periodi di ricovero a terra.
Riempimento delle estreme sentine di sotto poppa e sotto prua con un impasto di cemento, graniglia, sabbia e un prodotto liquido elasticizzante per bloccare il marciume ed evitare ristagni di acqua morta essendo zone molto scomode da pulire ed asciugare.
E con questo finiva il lavoro promesso: “Ma non ce l’ho fatta a resistere- confessa Agostino Amadi- Tanto lavoro per rendere la “Serenissima” nuovamente “sana” e niente per renderla “bella”? Non si poteva. Non stava bene...” Così, anche se non facevano parte nell’impegno preso, sono stati eseguiti altri lavori a completamento dell’opera:
Pittura interna: raschiatura manuale della pittura vecchia interna, una mano di smalto oliosintetico a tutto l’interno dello scafo prima di stuccare per uso impregnante, stuccatura con stucco oliosintetico e una seconda mano di smalto oliosintetico.
Sistemazione dei fori di forcolaura e di alcuni piccoli danni delle falche e coperte.
Paglioli: sistemazione e pitturazione dei vecchi paglioli e costruzione di nuovi paglioli risultati mancanti perché perduti (andati alla deriva) quando la barca è affondata.
Opera morta, soprastrutture, coperte e sculture: Raschiatura vernice vecchia, stuccatura pitturazione a due mani.
Venerdì, 5 settembre, la “Serenissima”, dopo aver assorbito ben 1.500 (millecinquecento) ore di lavoro, è stata varata con il lancio della classica bottiglia di champagne che si è giustamente rotta nell’impatto e, sotto la spinta di 18 rematrici (per la primissima volta ha avuto un equipaggio assolutamente femminile), ha ripreso la via per quell’Arsenale che è il suo “porto di armamento”. E la domenica pomeriggio ha aperto, stupenda e meravigliosa, il grande corteo della Regata Storica concedendosi allegra (e un po’ malandrina) alle riprese del servizio televisivo mandato in onda, in diretta, da Rai 1.
E le malelingue? O figurarsi se si sono acchetate: “Ha buttato il cemento per tappare i buchi” vanno in giro dicendo. E si danno così dell’ignorante da sole perché con il cemento ci si fanno pure le barche... Ma, senza sciocchi, che mondo sarebbe il nostro?
No, questo non è stato un “miracolo”, come ha detto qualcuno. Non è stata nemmeno una semplice “scommessa vinta”. Questo è stato un grande, assoluto atto d’amore. Non può essere altrimenti. Bravo Agostino.