Le barche di legno d’epoca non hanno bisogno di manutenzione

di Gianalberto Zanoletti

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Le barche di plastica è vero, non hanno manutenzione.

Anche se, mi raccontava un amico titolare di un cantiere, che anch’esse non si possono abbandonare, vanno controllate e ogni tanto una mano di pittura non fa loro di certo male. “Non ho mai pitturato tante barche in un inverno come quello scorso e quasi tutte di plastica”, mi diceva qualche anno fa.

Mentre le barche d’epoca in legno lasciate all’aperto si sa, si degradano.

Ciò è verissimo. Ma proviamo ad esaminare a fondo questo problema che sta molto a cuore a tutti noi proprietari di barche di legno soprattutto d’epoca; sia a motore, che a vela o a remi.
“Le barche di legno si danneggiano ad usarle”, è la mentalità corrente. Non è vero, si danneggiano a stare all’aperto, sia che si usino o no.

Facciamo un esempio: i bellissimi Taxi Veneziani tutti in lucido e splendente mogano vengono verniciati anche due volte l’anno, non sempre a fondo, ma almeno una ripassata alla vernice sì.
Il che vuol dire che grosso modo si può considerare, per avere una barca sempre in ordine, in circa 200 giorni l’intervallo tra un intervento di manutenzione e l’altro.

Ma per un proprietario di una barca di legno d’epoca, 200 giorni di utilizzo effettivo possono voler dire anche dieci, vent’anni di vita.

Ciò perché, il piacere di possedere questo tipo di barca consiste essenzialmente in due fattori: uno è proprio il fatto stesso di possederla perché è bella, ha un suo particolarissimo fascino, spesso ha una storia, magari anche importante, tutte cose che ne giustifichino il fatto di esserne proprietario. L’altro è il piacere di usarla. Ma il più delle volte viene usata come segue:

il primo anno di cui si è freschi proprietari si cerca di non far sfuggire nessuna occasione per usarla. Mi ricordo quando ero giovane e già appassionatissimo ero riuscito a comprare un Boston Whaler Outrage usato che tenevo in una darsena coperta.

Entusiasta e appassionato non perdevo occasione di mettermi alla sua guida.

Alla fine della stagione mi sembrava di averlo usato moltissimo, come in effetti lo avevo usato moltissimo. Il contatore segnava però solo 55 ore. Il che vuol dire che in quell’intero anno di notevole attività l’avevo usato e conseguentemente degradato di un tot corrispondente a non più di una ventina, trentina di giorni di uso all’aperto. Negli anni successivi però le occasioni di usare la nostra barca diminuiscono. Non perché in effetti obbiettivamente siano di meno, ma perché passato l’entusiasmo iniziale si scopre che le barche d’epoca, rispetto a quelle moderne sono piene di difetti: quelle a motore di solito picchiano sulle onde, hanno un’abitabilità non eccezionale, spesso sono bagnate nel senso che gli spruzzi invadono i passeggeri.

Sicuramente sono molto meno comode delle attuali.

E la scomodità di questi nostri oggetti di ammirazione e desiderio è solo parzialmente compensata dal piacere di usarle ammirandone la loro bellezza e fascino. Questa ammirazione però comunque rimane, indipendentemente dal fatto che si navighi o no.

Per cui passati i primi anni di euforia la frequenza d’uso diminuisce e spesso si stabilizza nel fare qualche raduno e poche altre sporadiche uscite. Anche per il fatto che normalmente la si usa solo nei weekend e durante la stagione estiva. Poi piove, ci sono altri impegni più comodi insomma. Se si calcolano tutte le giornate di effettivo uso vediamo che si limitano a pochissime. Probabilmente non più di 10, forse 20 giorni all’anno.

Il che, sempre tenendo il metro del Taxi Veneziano, vuol dire intervenire con i lavori di manutenzioni ogni dieci, vent’anni di utilizzo o forse anche di più invece che le due volte all’anno degli stessi taxi sempre tenuti all’aperto. Naturalmente a patto che la barca venga tenuta al coperto quando non è in uso.

Ma c’è un altro problema: dove tenere la barca.

Ovviamente date le premesse che la barca di legno si danneggia a tenerla all’aperto, indipendentemente che si usi o no, non si può certo lasciarla ormeggiata in un molo o parcheggiata all’aperto.
L’ideale sarebbe tenerla in un locale chiuso, ma volendo basterebbe anche solo tenerla al coperto sotto una tettoia.

Le alternative sono di solito due: una, la più semplice e comoda, ma anche la più costosa, è tenerla presso una marina o un cantiere. L’altra, più economica, e anche più piacevole, è di tenerla a casa. Come? Naturalmente su un rimorchio porta imbarcazioni.

Ecco l’idea che fa la differenza. Certamente non molto originale ma curiosamente praticata da pochi, almeno in Italia.

E il trovare un posto dove tenere al coperto un rimorchio portaimbarcazione con sopra la nostra amata barca d’epoca non è difficilissimo.

Come dicevamo non occorre un posto chiuso. E’ sufficiente che lo scafo, coperto con il suo telone, non prenda né sole, né pioggia, e soprattutto non faccia condensa. E per ottenere ciò una tettoia è sufficiente.

Se poi un armatore perfezionista non vuole che si impolveri nemmeno il telone, un semplice foglio di nylon, meglio ancora una stoffa qualsiasi che traspira, legata sopra alla bellemeglio risolverà anche questo fastidioso problema. Una volta all’anno in lavatrice ed il gioco è fatto.

Dicevo: chi è fortunato riesce a tenere la sua barca sotto casa, sotto una tettoia o meglio ancora in un box.

Per chi non ha questa fortuna, credo però che non sia difficile trovare qualche amico che abbia un pezzo di tettoia in una cascina o una vecchia casa in campagna con dello spazio al coperto oppure un artigiano con una piccola azienda, che possa farci, senza particolari disagi, il piacere di rimessarci sotto la nostra barchetta sul carrello.

Se si trova ciò può essere una sistemazione molto economica. Altrimenti può essere una possibile alternativa prendere in considerazione i depositi di roulotte e camper, abbastanza numerosi ed economici. Per esempio in Centro Italia il deposito per tutto l’anno di un motoscafo su carrello lungo 6mt e mezzo e largo 2mt, sotto una tettoia costa 300 euro all’anno, iva inclusa.

Tutto ciò è molto scomodo? Forse no, vediamo nel dettaglio:

il procedimento per usare la barca sul rimorchio è molto simile a quello della barca tenuta in acqua. Bisogna comunque preparare i costumi da bagno, l’asciugamano, la borsa con le pinne piuttosto che il cestino da pic-nic. Una volta preparate tutte queste cose vanno trasportate nel baule della macchina e da lì alla barca in acqua una volta raggiunto il porto. Ma allora, anziché trasbordare le borse ecc. dal baule della macchina alla barca in acqua nel porto non è più semplice o almeno equivalente traslocarle dalla casa o dalla macchina direttamente nella barca sul carrello?

La messa in acqua della barca poi è, se il carrello è giustamente predisposto, molto facile con uno scivolo.

Purtroppo questi scivoli, comunissimi all’estero, sono una rarità in Italia: ma qualcuno ce n’è. L’alternativa è andare presso una Marina o un Cantiere attrezzati di gru e farsela mettere in acqua, ovviamente a pagamento. Ma costa comunque sempre molto meno che lasciarla sempre in una marina o in un porto.

Il viaggio tra il luogo dove viene usata la barca e la propria abitazione deve essere comunque fatto, e il fatto di percorrerlo con o senza la barca al traino non ne cambia di molto il periodo di percorrenza, soprattutto col traffico dei weekend estivi.

La guida stessa con un rimorchio al traino non è particolarmente difficile. Richiede veramente solo un minimo di attenzione in più.

Ovviamente tutti questi accorgimenti limitano il campo della scelta delle imbarcazioni a quelle più piccole, anche se vediamo che, sempre all’estero, carrellano normalmente anche barche lunghe, alte epesanti come per esempio i Dragoni, i 5,50 SI e mi sembra anche i 6 mt S.I. Ovviamente con macchine adeguate.

Queste ultime considerazioni sono valide un po’ per tutte le piccole imbarcazioni, indipendentemente dal materiale con cui sono state costrute; vediamo invece adesso qualcosa di specifico sul legno, sia d’epoca che non.

Con l’accorgimento e la scelta di mettere la barca di legno in acqua solo quando la si usa e non lasciarla mai in acqua e/o al sole per più di un paio di giorni, non c’è bisogno di farla stagnare. Usandola per così poco tempo il legno non ha il tempo di bagnarsi, gonfiarsi e di conseguenza successivamente di ritirarsi asciugandosi e alla successiva uscita fare acqua. Il legno delle barche si sa, o non andrebbe mai bagnato o sempre bagnato. E’ il concetto della precompressione. In questo caso applicato alle tavole del fasciame con la stagnatura della barca a mezzo della calafatatura: Tale procedimento mette in tensione (precompressione) le tavole del fasciame in modo che il tutto sia molto teso e solido, concetto ben espresso con poche, ma come sempre incisive ed esaurienti parole dei vecchi maestri d’ascia. Alla fine di un buon calafataggio dicevano: “suona come una campana” Un esempio molto eloquente la abbiamo sul Lago di Como, nella sua barca più tradizionale, la Gondola Lariana, barca da trasporto da 12 – 18 metri priva di coperta e completamente aperta. Una volta terminata la costruzione sullo scafo, se venivano scosse violentemente si torcevano, si “muovevano”, perché erano assemblate ma non precompresse con la calafatatura. Non erano un blocco unico. Solo dopo tale calafatatura tutto il fasciame messo in tensione diventava conseguentemente monolitico. Ed è curioso pensare come una successione (d’altra parte lunghissima) di piccoli colpi di martello sulla stoppa sapientemente dati dal calafato possano, ad opera terminata, provocare una così importante trasformazione strutturale di uno scafo costruito tradizionalmente. Ma con la calafatatura si ottiene anche un secondo risultato non meno importante: la stagnatura dello scafo; bagnandosi, sia la stoppa sia il legno si gonfiano e ottengono tra di loro una perfetta aderenza e, come le botti, diventano perfettamente impermeabili e stagne. Procedimento analogo avviene con tutte le barche a fasciame sovrapposto. Un dinghy 12 piedi ad esempio. Con l’unica differenza che, mancando la stoppa, la tenuta impermeabile viene ottenuta solo tra tavola e tavola. Le tavole si bagnano, si gonfiano e così assicurano la tenuta all’acqua.

La controindicazione di questi sistemi tradizionali consiste nella manutenzione: la calafatatura ogni tot anni va rifatta o almeno ripassata; il fasciame a clinker va stagnato all’inizio di ogni stagione. Non solo, ma il periodico bagnarsi, gonfiarsi e ritirarsi, provoca dopo qualche anno un allentamento di tutta la struttura e la conseguente necessità di procedere ad una straordinaria manutenzione: ribattere tutti i chiodi di rame.

Gli altri tipi di costruzione tipo doppio fasciame o fasciame a filo hanno anch’essi le stesse caratteristiche, anche se in misura minore.

Allora come possiamo evitare tutti questi problemi e i conseguenti costi di manutenzione?

Sono personalmente favorevole al trattamento che attua questa precompressione meccanica con un trattamento della sola opera viva o di tutto lo scafo con colla epossidica. Ossia mettere in tensione tutta la struttura con l’applicazione all’esterno di uno strato di colla/struttura che appesantisce si di qualcosa lo scafo, ma rende tutto il fasciame rigido e soprattutto stagno. La cosa importante però è non inumidire mai più il legno che però, trattato con l’impermeabile resina eposidica all’esterno e verniciato all’interno, si bagnerà solo dopo una prolungata presenza di acqua in sentina. L’uso giornaliero o al limite quello di un week end non riesce a far penetrare l’umidità all’interno del fasciame che si manterrà così asciutto e integro indefinitamente.

Per concludere, come spesso capita nella vita, è una questione di scelte: si tratta di barattare l’impossibilità o meglio la non convenienza di tenere la nostra barca in acqua per lunghi periodi col vantaggio di ridurne quasi a zero la necessità di manutenzione. Con un ulteriore piccolo vantaggio per chi ha la voglia e il tempo di farlo: seguire e/o eseguire personalmente e molto comodamente a terra, magari sotto casa, quelle piccole operazioni di manutenzione che richiedono le barche soprattutto se vecchie. Dal semplice lavaggio e pulizia al cambio dell’olio e delle candele, all’invernaggio e lavoretti simili. Semplici, ma talvolta numerosi risparmiando così anche su questa voce.

Operazioni di questo genere possono essere effettuate comodamente nelle mezze stagioni, per esempio nelle brutte giornate di pioggia autunnali.

Il lavorare dentro la propria barca, al coperto di un portico con la pioggia che scroscia all’esterno è anch’esso un mezzo per convivere piacevolmente con la propria amata barca anche durante la brutta stagione.